Friday, November 21, 2008

UN'INVASIONE DI COLLI A ME MOLTO GRADITA

Vi siete accorti dell'invasione di colli che c'è stata in questo periodo? Sarà la mia paranoia, sarà ossessione, ma ovunque guardo, vedo colli di ogni tipo e collane così voluminose che rientrano senza problemi nella categoria colletti...

Su Frizzi Frizzi oggi ho trovato una sorpresa, una delle più piacevoli di queste ultime settimane: i colletti di Jo Cope, designer inglese a cui piace ironizzare sugli elementi sartoriali. Le sue collane sono dei non-colletti tagliati nel feltro colorato, che una volta indossati combaciano perfettamente con una giacca "creando un'illusoria formalità e conformità."




Il fatto che vengano definite collane poi è importante: la maggior parte dei colletti per cui perdo la testa ultimamente non sono altro che collane giganti che, se indossate nel modo giusto, danno l'illusione di essere colletti perfettamente integrati con il resto.

Sono rimasta semplicemente incantata dalla bellezza di questa collana di Anthropologie, e sto ovviamente studiando un modo di creare qualcosa di simile: la immagino perfetta su un girocollo di cachemere grigio (guarda caso la cosa che indosso di più da settembre ad aprile).



Anche la newsletter di Gargyle mi ha portato una buona dose di colli, fra cui questa magnifica collana di Giles & Brother, che dalla lunghezza sembra perfetta per nascondere il collo di una maglia. Visitate il loro sito! Le sorprese non sono finite, e oltre ad essere graficamente adorabile è anche zeppo di gioielli bellissimi, colli e "bavaglini" di ispirazione etnica e pezzi antichi to die for.



E per finire (lo so che non ne potete più di colli e colletti, e cercherò di essere il più breve possibile), credo conosciate già Lizzie Fortunato, il brand americano delle sorelle Fortunato, probabilmente l'avete visto su Velvet qualche tempo fa. Io me ne sono innamorata, poi dimenticata, e infine l'ho ritrovato ieri, e adesso non ho intenzione di lasciarmelo scappare.

Le loro maxi collane sono un mix di fiocchi, bottoni e pezzi di stoffa: hanno un'aria molto D.I.Y. (a tal punto che sto meditando di fare una prova, dati i prezzi di queste collane).







Anche le collezioni per la prossima estate sono zeppe di collanone e colli, e ovviamente un resoconto dettagliato (non ho ancora finito di visionare tutto, aimè) è in arrivo prestissimo!

CASI DELLA MODA



Quando ho visto questo post su Jak&Jill, sono rimasta folgorata dall'immagine di Carine: la direttrice di Vogue Paris è estremamente affascinante anche vista di schiena e in mezzo al traffico, ma quello che più mi ha colpita è stato il fatto che il giorno prima io stessa avevo indossato un identico abbinamento (di colori, non certo di abiti) per uscire. Da qualche tempo infatti ho un'ossessione per le giacche di cammello, finora da me snobbate come la peste. Non ne avevo mai provata una prima, ero convinta fossero off-limits per una ventenne che non vuole dare nell'occhio, e invece appena ne ho indossata una, me ne sono innamorata.

Dal cammello al verde lime è stato un attimo: quasi subconsciamente sono stata spinta ad abbinare i due colori, che secondo me stanno bene come fossero fatti l'uno per l'altro. La sciarpa verde è uno dei pezzi che più amo nel mio guardaroba: ce l'ho da anni e non ho idea di quale sia la sua provenienza, ma sta bene con tutto ed è caldissima. La giacca può avere circa trent'anni, l'ho ereditata da qualche parente che ha fatto pulizia (è il metodo di acquisizione di molti dei miei capi preferiti, tra l'altro), e per miracolo mi calza a pennello.



La mia mania per il cammello non sembra poter diminuire: su Fantastic Man ne fanno un elogio monocromatico che mi fa venir voglia di indossare total-beige in tutte le sue sfumature:



Tutto questo beige mi ricorda una delle mie collezioni preferite di sempre: Miu Miu autunno/inverno 2007, tantissimo beige con tocchi di rosa, grigio e nero e trasparenze discrete.

Il beige è il nuovo grigio (almeno per me, almeno per questa stagione, poi si vedrà).

Wednesday, November 19, 2008

BRUTTI STIVALI CALDI PER PIGRI GIORNI D'INVERNO

Lo confesso: sebbene io sia il tipo che indossa ballerine e miniblazer anche se la colonnina di mercurio scende sotto lo zero, non resisto un paio di quegli "orribili" stivali caldissimi. Ebbene sì, sono al mio secondo paio di Ugg, e li indosso indistintamente per stare in casa a lavorare o per uscire a fare shopping/a cena/con gli amici, non importa cosa indossi o quale sia l'occasione, se sono abbastanza pigra e fa abbastanza freddo, state certi che non farò la fatica di infilarmi in un paio di scarpe vere.

So che l'opinione popolare su questi stivali è varia, ma io ne sono innamorata e non potrei concepire un inverno senza di loro!

La popolarità degli Ugg è nota, e voi credete che Topshop potesse perdersi l'occasione di produrne un paio anche loro? Assolutamente no:



E anche se questo stivaletto non prenderà il posto dei miei giganti e ingombrantissimi Ugg nel mio cuore, lo stesso lo trovo molto carino. Dalle foto la pelle azzurra sembra morbidissima, e il modello alla caviglia un po' grassoccio gli da' l'aria di scarpa che non si prende troppo sul serio. C'è anche una versione marrone, forse più portabile ma decisamente meno carina.

Ora vorrei solo provare a toccare con mano quella pelle stupenda...

Monday, November 17, 2008

IDEE CHE AVREI VOLUTO AVERE IO...

A volte vedo qualcosa di geniale su un blog o su una rivista, e vorrei letteralmente prendermi a calci. Idee brillanti che avrei potuto facilmente avere anch'io, non tanto per farci un mucchio di soldi (le capacità imprenditoriali mi mancherebbero in ogni caso), ma per lo meno per divertirmici un po'.

Una di queste idee è il puzzle creato da Edizioni Ricordi, con una delle immagini scattate da Steven Meisel per Vogue Italia.



L'idea è tanto semplice quanto brillante: non c'è immagine migliore da piazzare su un puzzle che un servizio di moda, tanto meglio se è un caos di colori e stampe, e formato da mille pezzi da mettere assieme.

Il prezzo è proibitivo, ma basta portare qualsiasi immagine da un fotografo per trasformarla in puzzle (almeno credo). Già mi vengono in mente immagini perfette (tipo queste o queste) da trasformare in puzzle, ottimo passatempo per una serata invernale.

COMBATTERE LA RECESSIONE, CON STILE.

La crisi economica ha raggiunto anche l’alta moda: riviste che falliscono, pubblicità ritirate, stilisti che non producono più le loro collezioni, eccezion fatta per gli accessori. Perfino Vogue USA, bibbia del lusso, ha pubblicato una guida allo shopping natalizio under $500, caduta di stile segno che i tempi sono cambiati per tutti.

Per fortuna c’è chi su queste cose riesce a scherzarci: si sa, l’ironia aiuta in tempi come questi, i designer ne prendono atto e operano di conseguenza.



Da Fred Flare arriva il Fashion Origami Set, carta colorata e istruzioni per creare un guardaroba in miniatura – per lei e lui – completo di accessori. Un buon modo per distrarsi dalla recessione con stile, ma anche un nostalgico riferimento ai paper dresses di fine anni sessanta.



Il duo inglese Azumi & David ci prova invece con orologi, collane e cravatte: solo che al posto di materiali preziosi, usano il nastro adesivo. Il risultato è un insolito effetto usa-e-getta, virtualmente infinito, mentre l’uso è duplice: da vezzoso attaccatutto a scherzoso accessorio qualunque sia il mood con cui si affrontano i tempi.

L’economia non sarà rosea, ma possiamo consolarci sapendo che i designer sono bravissimi a trovare nuovi modi per farci sorridere (andando oltre ai saldi anticipati).

Thursday, November 13, 2008

DISTRAZIONI.

Come sempre, i tempi di magra su questo blog hanno delle spiegazioni plausibilissime, e in questo caso la spiegazione arriva in forma fotografica:



Un misto di riviste italiane arretrate, ma in gran parte un auto-regalo che mi sono fatta all'aereoporto, dopo aver scoperto che non avrei dovuto pagare i tanto temuti cinquanta dollari per le mie pesantissime valigie.

Davanti alla carta patinata generalmente perdo la testa, e questa volta non è andata diversamente...

Monday, November 10, 2008

LA FIRST LADY VESTE "LOCAL"

Dello stile della futura First Lady americana ormai ne hanno parlato un po' tutti. Vogue l'ha perfino puntata per una copertina, ed è innegabile che Michelle Obama trasudi glamour da tutti i pori, con la sua immagine di donna forte e un po' aggressiva, un fisico statuario e uno stile che molti hanno definito un po' estremo per colori e stampe.

A me piace tantissimo, e mi sono sempre trovata ad approvare le sue scelte stilistiche. Ma ultimamente mi sono fatta alcune domande. La sera delle elezioni si è presentata sul palcoscenico a Chicago con un abito Narciso Rodriguez, e ciò mi ha fatto pensare alle altre volte, in cui ha indossato Thakoon. Entrambi stilisti americani, entrambi immigrati, Narciso Rodriguez da Cuba, Thakoon Panichgul dalla Thailandia.



Un caso? Probbilmente sì, ma non riesco a fare a meno di credere che le scelte più vistose della primadonna d'America siano un po' strategiche. Un messaggio del tipo shop local, un simbolo della multiculturalità americana fatta vestito, un sinonimo di quel "tutto è possibile" inneggiato dal marito. E' solo la mia fervida immaginazione, o la signora Obama ci tiene a supportare gli stilisti locali, che per storia personale rappresentano la sua famiglia e quindi un po' tutta l'america?

Non so quale sia la risposta, ma a me piace pensare che sia così, perchè, come sappiamo bene, un vestito non è semplicemente un pezzo di stoffa da indossare, ha molteplici significati, nascosti e non, e se la First Lady usa la moda per lanciare messaggi ai suoi cittadini e al mondo, non posso far altro che applaudire e aspettare con ansia la prossima mise.

Friday, November 07, 2008

LAVORI DA SOGNO E FOTO A CASO

Mai e poi mai avrei pensato che, nella mia ultima settimana a San Francisco, avrei incontrato una mia ex compagna di università così, per strada. Come mi hanno confidato poco più tardi, tutto è possibile a San Francisco, ma a me lo stesso è sembrato un evento un po'estremo.

Una volta ripresa dallo shock, ho portato la mia amica a colazione, e davanti a una montagna di pancakes, mi sono fatta raccontare della sua nuova vita lavorativa. Sì, perchè la ragazza ha avuto la classica fortuna di trovarsi "nel posto giusto al momento giusto" e di capitare in un lavoro da sogno. Ovviamente è anche molto brava, la fortuna l'ha aiutata fino ad un certo punto, ma insomma capita che un giorno incontra Colin McDowell che su due piedi la fa diventare research editor della nuova rivista che ha appena creato, Distill.

Come il titolo forse suggerisce, Distill non è altro che un distillato delle migliori riviste in circolazione: ogni due mesi i servizi fotografici che più saltano all'occhio al team della rivista. Un team peraltro di tutto rispetto: oltre a Colin McDowell, tra i collaboratori c'è la giornalista che ha lanciato Grazia nel Regno Unito (ora una delle riviste più di successo), e gli stilisti Giles Deacon e John Galliano. Ovviamente sono inverosimilmente gelosa (specie dopo un aneddoto in cui ho appreso che ormai lei e il giovane stilista emergente si chiamano col nome di battesimo e vanno ai party insieme).

Il suo lavoro è un sogno: essere pagati per passare la giornata a sfogliare servizi forografici stupendi e scegliere i più belli? Non credo esista niente di meglio. Ovvimente esagero, il lavoro della mia amica comporta anche scrivere un sacco di articoli ogni mese e assistere a noiosissime rassegne stampa piuttosto a caso, ma il lavoro resta da sogno.

Per quanto riguarda la rivista, l'ho trovata qualche settimana fa a Milano (per chi fosse interessato, la vendono da Rizzoli in galleria Vittorio Emanuele, credo però sia disponibile anche da altre parti), e devo dire che come primo numero non è male. Forse potrebbero assumere un correttore bozze, ma insomma non si può pretendere tutto subito no?

E mentre siamo in tema servizi fotografici, ecco qualche scatto di un fotografo che ho scoperto stamattina, del cui lavoro mi sono subito innamorata:







[Phillip Toledano]

Sarà che quel vestito a righe (Marc Jacobs) sembra seguirmi come un'ombra in questi giorni ed è ovunque mi giri (sottinteso: mi piace da morire), sarà che ho una predilezione per i servizi fotografici senza modelle, ma queste foto mi piacciono tantissimo (un po' meno altri suoi lavori, questi sono senza dubbio i migliori).

Ora posso andare a dormire, e sognare il giorno in cui anch'io verrò pagata per diventare amica di stilisti e sfogliare riviste all day long.

Wednesday, November 05, 2008

D.I.Y.: DESTRUCTION EDITION

Il problema principale di tutti i progetti D.I.Y. che mi propongo di portare a termine, è che ognuno di loro comporta la costruzione o creazione di qualcosa. Per costruire (sia cucendo, incollando, annodando, dipingendo o quant'altro) ci vuole una precisione e dimistichezza che non posseggo, quindi la maggior parte delle volte rimando all'infinito finchè me ne dimentico, oppure dichiaro l'impresa persa in partenza.

Ma da qualche settimana il web sembra ossessionato da un progetto D.I.Y. che non potevo lasciarmi scappare, principalmente perchè, per la prima volta, non si tratta di cotruire, ma di distruggere. Dovremmo forse chiamarlo U.I.Y., Undo It Yourself, che in italiano suonerebbe più o meno come "disfatelo da solo."

Se come me passate una notevole quantità di tempo a navigare tra i blog, avrete di sicuro notato le magliette disfatte (in inglese si dice shredded e non credo esista una parola italiana equivalente. Qualcosa tipo fatto a brandelli, sfilacciato, stracciato: tutti termini che non mi soddisfano) di Raquel Allegra.



Il concetto è semplicissimo: una maglietta usata, di qualsiasi tipo (lei usa vecchie magliette recuperate in giro per le prigioni, cosa che in realtà mi inquieta un po'), tanta pazienza, e il ritultato è un capo dall'aria evanescente, leggerissimo, con una struttura diversa da tutto quello che si vede in giro ultimamente.

Le blogger più attive ovviamente non hanno perso tempo a crearsi la loro T-shirt personalizzata (perchè, per quanto belle, le originali non sono esattamente economiche), dando il più libero sfogo all'immaginazione per colori, forme e direzioni di stracciamento. Childhood Flames ha perfino pubblicato una video-lezione per chi, come me, è un po' più tardo a cogliere l'ovvio, ovvero che per creare queste magliette basta tirare un filo alla volta e avere tanta pazienza.

Ma potevo prdere l'occasione di distruggere qualcosa per creare qualcos'altro? Assolutamente no, e per una settimana ho disfatto ovunque mi trovassi: in autobis, in ufficio, davanti alla tv, al bar la mattina. E' stato un progetto ossessionante (e non privo di momenti di sconforto), ma ora che è finito non vedo l'ora di attaccare tutte le magliette dismesse che giacciono un po' ovunque nel mio armadio, e trasformarle in qualcosa di vagamente portabile.

Photobucket

(è evidente che le mie doti auto-fotografiche debbano essere perfezionate, ma in mia difesa vi confesso che è da un mese che vivo senza specchio a figura intera)

Ho usato una super-cheap maglietta di Primark color ecrù, che dopo un lavaggio era già troppo corta e troppo larga. Lo shredding le ha dato nuova forma, e anche se la scollatura ampia non è il massimo (il risultato è mille volte meglio con il classico collo da T-shirt), il drappeggio che ne è risultato è molto piacevole e la nuova texture è soffice (ho una fobia per le T-shirt non abbastanza soffici).

Sono innamorata di questo effetto arricciato/stropicciato, e non vedo l'ora di perfezionare la tecnica (come potete notare dai buchi, anche per distruggere mi serve un po' di pratica) con ogni tipo e colore di T-shirt che avrà la sfortuna di capitare sotto la mia onda distruttiva!

Per quanto riguarda lo styling, non credo di essere pronta ad affrontare l'effetto pelle nuda alla Fashion toast: in primis perchè sarebbe stupido in questo clima polare, e poi perchè non trovo che l'effetto su di me sarebbe poi così fine. Questo tipo di styling è preferibile su spiaggie californiane e feste estive, lontane anni luce da me. Credo che lavorerò sulla sovrapposizione di colori e stoffe, vedremo come va...

LA NOTTE IN CUI L'AMERICA DIVENTO' BLU



In Italia vi state appena svegliando, in America ci stiamo commuovendo, increduli per quella che è la nuova pagina di storia che è stata scritta stanotte.

Non avevo intenzione di toccare l'argomento elezioni, ma l'emozione di vivere questo momento accanto a coloro a cui questa elezione cambierà la vita è troppo grande per ignorarla. Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti, un uomo Afromamericano per la prima volta alla Casa Bianca.

L'ultima settimana è stata all'insegna del - cito Beppe Severgnini - "se non lo vedo non ci credo," un misto di paura ed eccitazione. Ma soprattutto speranza in un'America che forse stanotte non è diventata migliore, ma di sicuro è cambiata. La speranza si vedeva sulle facce di tutti, alla cassa del supermercato, al bar per il caffè la mattina, sugli autobus. Innumerevoli spille, poster, magliette pro-Obama a testimoniare la convinzione americana che questo presidente farà la differenza, dentro e fuori. Un presidente di colore a rappresentare al mondo un'America frammentaria e piena di problemi, un presidente giovanissimo che forse porterà una ventata di freschezza nel panorama mondiale, un presidente appassionato che rappresenta al mondo uno stato in cui le minoranze sono le maggioranze, e anche se forse non è ancora uno stato migliore, ha le carte per diventarlo. Vedere il blu-Obama conquistare l'America ha dato a tutti speranza in un mondo più giusto.

Non sono un'esperta di politica o di storia, quindi lascio questi discorsi a chi ne sa più di me. Ma non potevo non scrivere dell'emozione di assistere a questo pezzo di storia che milioni americani hanno scritto stanotte.

Tuesday, November 04, 2008

LE FOTO CHE NON VORREMMO MAI VEDERE....

Di recente, un mio amico ha pubblicato su facebook una foto risalente al liceo: quarta superiore, la mia classe in posa davanti alle cascate del Niagara, tutti molto provati da piogge torrenziali e notti insonni tipiche di una gita scolastica. Ovviamente l'intera classe si è scagliata contro il povero malcapitato, che ha osato oltraggiarci tutti pubblicando una foto che rappresenta tutto quello che vorremmo dimenticare, esteticamente parlando.

Tagli di capelli oggi improponibili, giubbini pescati chissà dove, sciarpe dai colori improbabili, e l'immancabile apparecchio per qualche sfortunato (io inclusa) che ha messo a posto i denti troppo tardi: cinque anni fa eravamo un disastro, ma vi posso assicurare che ci si sentiva tutti un po' arrivati, tutti un po' al culmine del nostro stile. Quella foto (e il resto dell'album, non meno divertente peraltro) porta con sè un misto di tenerezza e imbarazzo, oltre ovviamente al pensiero: "ma cosa avevamo in testa?"

Sebbene vada abbastanza fiera della mia maxigonna Levi's Engineered, pantaloni militari e uso coraggioso del fuxia, devo ammettere che non tornerei indietro al mio stile di sedici-diciassettenne neanche morta. Ma in fondo non è questo il bello della moda? Rinnovarsi, tenendo le cose che funzionano (converse, skinny jeans) ed eliminando quelle che non si possono proprio vedere (jeans col jeans, ballerine con la punta quadrata)? Non è che in fondo quell'imbarazzo è utile e positivo? Significa dopotutto che siamo cresciuti, sicuramente maturati (non solo stilisticamente, si spera), e probabilmente raffinati? E' rassicurante sapere che siamo passati per delle fasi estetiche poco felici (a quattordici anni volevo a tutti i costi farmi i capelli rasta, e il mio stile andava di conseguenza. L'anno dopo ho comprato un cappotto di pelle viola e volevo tingermi i capelli di nero. Fate un po' voi..) e ne siamo usciti tutti interi, oserei dire persone normali.

Questa riflessione mi viene in testa in un giorno molto particolare: il compleanno di Anna Wintour. La signora della moda compie cinquantanove anni, e sebbene non sia poi una pietra miliare dei compleanni, quelli di Fashionologie le hanno fatto un bel regalo: una raccolta dei suoi outfit più datati, per ricordare a lei (e a noi) che il tempo passa, ma le foto restano, e quindi dovrebbe fare un po'meno la snob considerando che quindici anni fa andava in giro vestita così:



Anche se devo ammettere di essermi innamorata di questo vestito:



Forse allungato di qualche centimetro sarebbe meglio, ma lo trovo così attuale che lo vorrei nel mio armadio immediatamente!

Potete vedere il resto della serie (ovvero un distillato di inzio anni novanta) qui.

Tanti auguri Anna!

Monday, November 03, 2008

YVES SAINT LAURENT SBARCA A SAN FRANCISCO...

Il tempo questo weekend è stato orrido. Per il mio ultimo fine settimana a San Francisco avevo in programma spiaggia e shopping (o per lo meno window shopping), e invece mi sono dovuta rinchiudere in musei e centri commerciali per fuggire a piogge torrenziali e temperature quasi sottozero.

Ovviamente entrambe le cose sono state piacevoli (come lo è stato scoprire che press discount al botteghino di un museo significa gratis), in particolare lo è stata la mia visita al De Young Museum, dove è appena stata inaugurata una mostra dedicata alla carriera di Yves Saint Laurent.

E' ancora aperto il dibattito della moda nei musei, spesso ci si chiede se è giusto che vestiti, scarpe e borsette siano in mostra accanto a opere d'arte vere e proprie. Non ho intenzione di cadere nel clichè del "la moda è arte," perchè è un argomento troppo vasto e ci sono troppe cose da prendere in considerazione prima di giungere a una qualsiasi conclusione.

Di una cosa però sono sicura: nell'ultimo anno ho avuto l'opportunità di visitare numerose mostre di moda, di grandi couturiers, stilisti all'avanguardia e nuovi nomi della moda, e sono grata di averne avuta l'opportunità. La moda nei musei permette ai visitatori di approcciarla con calma, una cosa che non esiste nella moda. Le sfilate durano quindici minuti, le boutique assaltano i sensi con odori, colori e rumori che niente hanno a che fare con i capi in vendita, e commessi alla ricerca di commissioni torturano noi poveri shoppers, seguendoci come un'ombra e tartassandoci con domande e proposte.

Ogni boutique dovrebbe essere come un museo: penombra, con fasci di luce soffusa a illuminare strategicamente ogni capo. Silenzio e lievi sussurri, rumori attutiti e visitatori rispettosi come in un santuario. Senza la patina delle riviste o i commenti dei fashion editor, i vestiti si mostrano per quello che sono, la loro perfezione tecnica messa a nudo.



Il momento più emozionante degli ultimi mesi è stato vedere dal vivo il famigerato bow dress, incredibilmente relegato in un angolo della mostra. Ma come! Se fossi stata io la curatrice, l'avrei piazzato all'ingresso, e poi mi sarei messa io in un angolo ad ammirare le facce stupite dei visitatori davanti a un tale splendore!

Il tubino è incredibilmente minimalista, di velluto nero, e il corpetto è realizzato nella tonalità di rosa più incredibile che abbia mai visto, perfetta per complementare quel nero profondissimo. I due colori e materiali creano un dialogo perfetto, tutto è al suo posto e le proporzioni non peccano di un millimetro. L'ho scoperto ieri, il fiocco è staccabile, e credo di aver passato circa un quarto d'ora a contemplare la perfezione con cui i bottoni che lo uniscono al corpetto sono ricoperti con la stessa stoffa, con precisione millimetrica.

Non ho parole per descrivere l'emozione che quei botoncini mi hanno suscitato. Ma una cosa è certa: forse la moda non è arte, ma di sicuro è nei musei che si sente più a suo agio.

STARBUCKS: IL SEGRETO E' NELLA TAZZA?

Da italiana espatriata oltremanica e oltreoceano, non ho mai capito cosa gli italiani all'estero ci trovino mai in Starbucks. La mia prima settimana a Londra desideravo con tutto il cuore un buon cappuccino come solo nel mio bar (italiano) preferito sapevano fare, e possibilmente una brioche da abbinarci. Quello che mi veniva proposto da Starbucks era invece un cappuccino bollente e decisamente molto meno buono di quello italiano, e muffin mollicci e senza sapore. Eppure, gli italiani all'estero non vedono l'ora di farsi vedere in vacanza per le strade di qualsiasi città del mondo, fieri di portare la loro tazza di carta con il logo della sirena, ripiena di schifezze tipo "vanilla latte" o "frappuccino," stile gemelline Olsen in fuga dai paparazzi.

Sarà che sono particolarmente patriottica, ma l'unica cosa buona che trovo in Starbucks sono le poltrone ipercomode dove aspettare che spiova. Eppure non voglio crederci, che agli italiani piacciano di più quei miscugli improbabili, piuttosto che un buon cappuccino consumato al bar, o che preferiscano bere il caffè da un beccuccio di plastica piuttosto che da una tazzona di porcellana. Se qualcuno vuole illuminarmi sul fascino di Starbucks, prego, i commenti sono aperti.

Ovviamente non sono del tutto preistorica, e la praticità di un caffè take away mi è ben chiara. Capita di non sentire la sveglia e quindi non avere tempo per sedersi a fare colazione con il giornale, e un caffè to go è un rimedio salvavita per non perdere l'autobus/treno. La soluzione l'ho trovata in questi giorni, e sembra essere in vendita in tutti i negozi in cui entro.




I am not a paper cup è identica alle tazze di carta di qualsiasi Starbucks (ovviamente senza logo e in un total white molto più esteticamente piacevole), ma è realizzata in porcellana con coperchio di silicone: mi ricorda gli oggetti della serie Estetico Quotidiano di Seletti. Mantiene il calore ed è ovviamente lavabile. Mi sembra una buona alternativa ai bicchieri di carta, ma soprattutto un buon metodo per bersi un caffè decente e continuare a far finta di essere una minicelebrity per le strade di Hollywood.